Il selfie
(o del declino...)
Da un po' di tempo si aggira per la rete il selfie. Si tratta di un'immagine di sé stesso scattata con un telefono. Molto spesso queste immagini vengono postate su instagram, twitter, facebook o altri siti social.
In genere hanno più o meno tutte la stessa inquadratura: mezzo busto, una mano non si vede (perché regge lo smartphone), l'altra mostra il pollice in alto o, in alternativa, l'indice e il medio aperti ad imitare la lettera V, il viso, senza espressione, atteggiato ad un sorriso più o meno intelligente, o labbra prominenti a rappresentare una posa imbronciata (soprattutto le ragazzine).
Quello che colpisce è che coloro che sono rappresentati sembrano voler comunicare tutti la stessa cosa: ti prego guardami!
Ma a chi viene rivolta questa richiesta? Qui viene il bello: a nessuno in particolare.
Queste "fotine" sono lanciate nel mare di Internet come pezzettini digitali di sé stesso (selfie) da cui ci si può separare senza dolore fisico. Lanciate per espandere il più possibile la propria immagine. Lanciate per stabilire un contatto. Lanciate per finire in chissà quali mani (ed è proprio questo che fa passare un brivido per la schiena dei ragazzini).
Non credo che questo abbia qualcosa a che vedere con il narcisismo. Se qualcuno ricorda il mito di Narciso, saprà che Narciso, divenuto giovinetto e ammirato da tutti per la sua eccezionale bellezza, un giorno passeggiando sulla riva di un ruscello, vede per la prima volta la sua immagine riflessa nell'acqua e rimane rapito a contemplarla.
I selfie non servono a guardare sé stesso ma a farsi guardare, a offrirsi agli altri.
C'è in questa pratica qualcosa di disperato (o alieno?), c'è un richiamo spedito nella rete per cercare qualcuno, qualcosa con cui entrare in contatto.
Sono soli i personaggi dei selfie, non vivono più nel mondo reale dove è possibile avere un amico, due amici, cinque amici. Gli amici in rete si contano a centinaia.
Erano gli anni ottanta del secolo scorso e Roland Barthes scriveva:
"Io vorrei insomma che la mia immagine, mobile, sballottata secondo le situazioni, le epoche, fra migliaia di foto mutevoli, coincidesse sempre con il mio io (che come si sa è profondo); ma è il contrario che bisogna dire: sono io che non coincido mai con la mia immagine; infatti è l'immagine che è pesante, immobile, tenace (ecco perché la società vi si appoggia), e sono io che sono leggero, diviso, disperso e che, come un diavoletto di Cartesio, non sto mai fermo, mi agito dentro la mia buretta: ah, se la Fotografia potesse darmi un corpo neutro, anatomico, un corpo che non significasse niente! Invece, ahimè, sono condannato dalla Fotografia - la quale crede far bene - ad avere sempre un'espressione: il mio corpo non trova mai il suo grado zero, nessuno glielo dà. (Forse solo mia madre? Infatti, non è l'indifferenza che toglie il peso dell'immagine - niente di meglio di una fotografia "obbiettiva", del tipo 4 minuti 4 foto, per fare di voi un galeotto, un ricercato dalla polizia - ma è l'amore, l'amore estremo)."
(R. Barthes - La camera chiara - Einaudi 1980, pag. 13)
Solo 30 anni fa.
Non c'è studio, non c'è posa nei selfie. Un pezzo di corpo che si stacca in modo indolore (come capelli o unghie tagliate) e viaggia in modo autonomo nella rete. Viene raccolto da chissà chi, viene rubato, come alcune vecchine di paese rubavano i capelli dal barbiere per lanciare fatture all'indirizzo dell'ignaro tosato.
C'è poi un altro tipo di selfie: quello delle celebrities. Questo si, segue le regole sperimentate della rappresentazione. Personaggi seminudi o con la faccia pensosa o forzatamente scanzonata si scattano un selfie e postano le loro fotine su instagram o facebook. Hanno sempre qualcosa di veramente importante da scrivere per accompagnare il selfie.
Qualcuno addirittura gioca con i selfie, si ritrae tutti i giorni o quasi per mettere in scena una sorta di onanismo neanche troppo simbolico. Sono questi i cosiddetti vip che hanno una produzione immensa di selfie. Tra tutti spiccano i 121 selfie, sul'account di twitter di Miley Cyrus, o i 271 selfie postati su instagram da Snoop Dog.
Provate a scrivere su google celebrities on instagram vi verranno proposti, udite udite, 115 milioni di risultati! (in crescita!)
Non varrebbe la pena parlarne se non fosse che oltre a riempire il web, di selfie cominciano a parlarne quotidiani come la Repubblica (un non meglio identificato Nicola Perilli ci delizia dalle pagine del quotidiano on line con titoli tipo "Come scattare selfie da manuale" o "al MoMa sono diventati una forma d'arte" ed infine ci fornisce anche la notizia che è stata pubblicata una preziosissima "breve guida per restare al passo con i tempi" da Contrasto editore per soli euro 9,90 intitolata “Shooting yourself”)
Il Corriere della Sera pubblica un servizio intitolato "I 15 selfies (ri)trovati di Vivian Maier, fotografa di strada, che finora era anonima e che oggi è paragonata dai critici a Diane Arbus e Dorothea Lange".
il New York Times ha pubblicato un articolo del "selfie king" James Franco intitolato "The Meanings of the Selfie", addirittura nella rubrica "Arts".
E... last but not the least, il selfie, pratica ormai consolidata, si merita sull'Huffington Post (edizione USA) un articolo intitolato (senza alcun senso del ridicolo) "A Brief History Of The Selfie".
A questo punto stiamo monitorando e studiando una nuova tendenza in tema di fotografia, aspettiamo che si consolidi, che gli autori siano conosciuti al grande pubblico, che si esprimano i più importanti critici fotografici per poter finalmente parlare di bikini bridge.
P.S.
Ci uniamo desolatamente al redattore di 6 gradi, blog del Corriere della Sera, che conclude il suo articolo sul bikini bridge scrivendo: "Se arrivati in fondo a questo post, avete deciso che l’argomento non vi interessa per nulla e avete in cuor vostro pensato “ma chi se ne importa” (per non dire di peggio)…beh allora vuole dire che siete pronti per buttare via lo smartphone e salvarvi dal declino della nostra civiltà".
Questo articolo è stato pubblicato anche su La Stampa